Di solito si accorgeva di aver sognato, e del genere di sogno, dalle condizioni di cuscini, lenzuola e del letto in generale al momento del risveglio. La maggior parte delle volte sembrava un campo di battaglia con lenzuolo attorcigliato a mo’ di molla, e piume dei cuscini ancora svolazzanti per la camera, ma nessun ricordo lasciato dalla notte. Se di sogno o incubo si fosse trattato, non era dato sapere. Al limite rimaneva una vaga sensazione di pace o angoscia, o magari un rimasuglio di una lacrima, o un sorriso rimasto lì a metà, senza motivo. Ma tutto qui.
Quella mattina però, si svegliò presto, un paio d’ore prima del solito. Il letto era in ordine, il ventilatore a pale girava tranquillo e il traffico cittadino ancora dormiva sotto un cielo che prometteva un’alba azzurrognola di prima estate.
Quella mattina aveva un intero film che le girava in testa. Fatto di spezzoni, di scene strane come se il regista non fosse ancora passato in sala montaggio… ma precise e nitide come se si fosse trattato di cose vissute. Di realtà.
Quindi accese il computer, aprì la sua pagina bianca e iniziò a tirar giù appunti.
scena 1
cucina. preparativi per un capodanno, però fa caldo, anche se, per qualche motivo sai di essere a Roma. Un’amica sta uscendo dalla porta con una teglia piena di tortellini verdi. La teglia è di quelle da ospedale, in alluminio, circa un metro di lunghezza per 50 centimetri di larghezza e alta una ventina, decisamente grossa, insomma. L’amica è bruna, alta, sottile, con i capelli corti. Sai che è un’amica ma non è nessuno che conosci. L’amica saluta. Esce. Se ne va.
scena 2
sei in un prato, presumibilmente un parco pubblico o un giardino molto verde con alberi ad alto fusto (la sensazione è che sia Roma, ancora una volta), accovacciata su un plaid tipo pic-nic, un plaid di quelli vecchio stile, scozzese sul rosso. Con te c’è un ragazzone, non bello, capelli corti, alto, grande e grosso, simpatico. Sai chi è nella vita reale, al risveglio sei certa di chi si tratti, ma non è mai stato uno per cui provi alcun tipo di attrazione. E’ un tuo amico del web, e non lo hai mai incontrato nella vita reale. Tu stai sfogliando un libro che probabilmente ha scritto lui. Un libro tipo quelli del National Geographics, con tante illustrazioni di animali, cani, pantere, ghepardi – foto bellissime, delle quali hai un ricordo più che nitido al risveglio -, lo sfogli mentre chiacchierate di amenità che non ricordi. Poi ti volti, vi guardate e lui ti bacia. Il bacio non ti piace.
scena 3
Roma. Un giro in macchina con un amico, lo stesso amico della scena 2, come fosse solo un cambio di scena. Un giro strano, però: in verticale. Lui guida come un matto, ma non hai paura. Ha una Mini, o qualcosa di dimensione simile. No, proprio una Mini. E ti porta in giro a folle velocità in una città totalmente vuota. Dopo aver percorso qualche stretta via del centro, un paio di vie dietro a Campo de’ Fiori sono riconoscibili, inizia una scalata verticale, in macchina, come fosse un razzo, o una ripresa dal basso in alto con una fotocamera che avvicina lo zoom, dell’Altare della Patria, vedi le scale, poi le pareti e il colonnato, quindi le statue, a pochi centimetri da te. Le statue sono molte di più rispetto al monumento originale, ed è anche molto più alto. Attorno ci sono palazzi di mattoni rossi, la salita non ha nulla di liberatorio dall’oppressione quasi claustrofobica dei palazzi. La luce riflessa sul marmo bianco pulito è abbacinante.
scena 4
Sei a letto, un letto che non conosci, in casa d’altri. Di fronte a te, sulla porta per un’altra stanza che non vedi, c’è un’anziana cameriera grassa, molto grassa. Con i capelli grigi tirati indietro e un grembiule. Ti guarda e parla mentre infila un cuscino in una federa. Non la conosci e lei non conosce te. C’è una grande finestra aperta, con tende bianche trasparenti che svolazzano. Arriva un colpo di vento più forte e la cameriera rimane in mutande, si vedono numerosi rotoli di adipe bianca, è davvero grassa. Poi si scusa e finisce di rifare il letto nell’altra stanza. Poi arriva il presunto padrone di casa, ha in mano una tazzina di caffè blu-china, la tazzina è senza manico e la tiene con due mani per non far cadere il piattino. Te la porge dicendo: “Non vorrei sembrare inospitale, ma lei cosa ci fa nel mio letto?”. Lui è bruno, mezza età, bassetto, con baffoni neri e capelli ricci tipo il Manfredi della pubblicità – ma più insipido. Arriva il tuo amico delle scene precedenti, portandoti i vestiti. Vi scusate per aver sbagliato casa e ti svegli.
Le note erano scese giù dirette, come se cervello e mani facessero tutto da soli. Poi si fermò a rileggere. Con calma. Realizzò, con calma, che doveva essere sull’orlo di una crisi nervosa. Ripensò, con calma, a tutto quello che aveva visto in sogno e alle reminiscenze lasciate da qualche libro di psicologia letto in gioventù. E, con calma, uscì a comprare sei scatole di sonnifero.
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